Ladri di Biciclette

 





Un film di Vittorio de Sica

Con Lamberto Maggiorani, Enzo Staiola, Lianella Carell, Gino Saltomerenda, Vittorio Antonucci

Con la musica di Alessandro Cicognini









Riassunto


La scena si svolge a Roma, nell’italia del dopoguerra, miserabile e estremamente povera. Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), che è disoccupato da due anni riesce ad ottenere un lavoro d’incollatore di cartellone alla condizione di possedere la bicicletta.


Questo indispensabile veicolo si trova in deposito al Monte di Pietà, bisogna recuperarlo, Maria  -la moglie di Antonio- si vede costretta ad abbandonare le loro ultime lenzuola in scambio.
Sfortunatamente, Antonio si fa rubare la bicicletta fin dal primo giorno. Tenta allora di ritrovare il suo ladro facendo una deposizione al commissariato, ma senza risultato. Preoccupato dal bisogno di fare vivere la sua famiglia, Antonio decise dunque di intraprendere delle ricerche attraverso tutta la città, aiutato da suo figlio Bruno (Enzo Staiola) e del suo amico Baiocco (Gino Saltamerenda).


Dopo qualche ora, Antonio crede di riconoscere il ladro, ma non riesce a riacciuffarlo.
Antonio e Bruno provano allora di seguire un vecchio barbone a chi ha parlato il giovane uomo. Cosi si ritrovano in una chiesa dove una donna fa distribuire una  cena ai poveri. …ma il vecchio è fugito. Disperato, Antonio si decise a consultare « La Santona » (Ida Bracci Dorati), l’indovina che lui stesso aveva rimproverato a sua moglie di vedere.


Localizzano finalmente il giovane ladro nel suo quartiere. Ma a causa dei viccini che proteggerano il povero ladro, anche disoccupato e epilettico, Antonio non riesce a recuperare la sua bicicletta.


Stanchissimo e afflitto, si impossessa di un’altra bicicletta davanti a uno stadio. Riacciuffato dalla folla, Antonio è molestato e umiliato davanti agli occhi pieni di lacrime di suo figlio. Ma il proprietario, per pietà, lascia i bisognosi partire colla bicicletta.







A proposito di Vittorio de Sica...



Vittorio di Sica è un registra teatrale in scena ed attore italiano, sia di teatro che di cinema, nato a Sora (un villaggio di montagna media della provincia di Frosinone, nella regione del Latium, a metà strada tra Roma e Napoli) il 7 luglio 1901, morto di un cancro al polmone a Neuilly-sur-Seine (Hauts-de-Seine, Francia) il 13 novembre 1974, all'età di 73 anni.

Poco dopo la sua nascita, suo padre Umberto di Sica, bancario ed assicuratore, con il quale ebbe sempre relazioni molto strette ed al quale dedicherà la sua pellicola Umberto D., e la sua madre napoletana vengono ad installarsi a Napoli, dove vivranno a nel 1914. All'inizio della prima guerra mondiale, la famiglia emigra a Firenze, dove il giovane Vittorio, appena di quindici anni, inizia ad iniziarsi alla scena in piccoli spettacoli offerti ai soldati ospedalizzati. Sarà in seguito la partenza definitiva per Roma.

Durante i suoi studi (di contabilità), ottiene, grazie ad un amico della famiglia, un ruolo secondario in un film muto sotto la direzione di Alfredo di Antoni, “Il Processo Clemenceau” nel 1917. Continua tuttavia i suoi studi. Dopo il conseguimento del suo diploma, è soltanto nel 1923 che abbraccerà la sua carriera di teatro. Sarà inizialmente, per due anni, nell'ambito della società della actrice famosa Tatiana Pavlova, quindi nel 1925 in quella di Italia Almirante, celebrità del cinema muto, e nel 1927 nella società di Luigi Almirante, Sergio Tofano, e Giuditta Rissone che diventerà successivamente la sua sposa.

Nel 1930, fa la conoscenza di Mario Mattoli che gli offrirà nel 1932 il ruolo di un giovane uomo brillante e disinvolto nella pellicola “Gli Uomini, che mascalzoni!”, ruolo che lo farà conoscere dal grande pubblico italiano.

Non abbandona per altrettanto il teatro al quale resterà fedele fine a 1949, creando anche, nel 1933, la sua truppa teatrale con il suo coniuge Giuditta Rissone e Sergio Tofano per rappresentazioni che versano piuttosto nel tipo comico. Sempre sulle tavole, Alessandro Blasetti e Luchino Visconti lo farà giocare in parti di autori famosi come Langdon Martin, Luigi Pirandello, Jason Priestley, Beaumarchais, William Saroyan o Fernand Crommelynck. 

Al cinema, de Sica sarà di una grande fedeltà ai registi dei suoi inizi. Girerà molto spesso davantii alle macchine fotografiche di Amleto Palermi, Mario Camerini, Carlo Ludovico Bragaglia, Mario Mattoli.

È all'inizio degli anni 40 che darà i suoi primi “giri di manovella” producendo pellicole piuttosto medie come “Maddalena, zero in condotta” o “Rose scarlatte” in collaborazione con Giuseppe Amato. La pellicola “Teresa Venerdì” avrà il merito di fare conoscere Anna Magnani dal grande pubblico.

È nel 1944, che de Sica farà un'entrata osservata nel mondo del néoréalismo con “I Bambini ci guardano” grazie, principalmente, alla sua collaborazione con lo sceneggiatore Cesare Zavattini, che porta con lui Marcello Mastroianni.

Quattro grandi pellicole del tipo seguiranno, che saranno capi d'opera del cinema mondiale: “Sciuscià” nel 1946, “Ladri di biciclette” nel 1948, “Miracolo a Milano” nel 1951 e “Umberto D.” nel 1952. Questo periodo segnerà il massimo del regista che, certamente, si ricollegherà al successo ma in modo più intervallato.

Fra le sue opere di gloria, come regista, occorre citare “l'Oro di Napoli” nel 1954, “La Ciociara” nel 1960, “Ieri, oggi, domani” nel 1963 ed “il Giardino dei Finzi Contini” nel 1971.

Sophia Loren come attrice, sarà il principale successo di Vittorio de Sica: grazie alle sue partecipazioni nelle sue pellicole, andrà fino ad ottenere al prezzo d'interpretazione femminile al Festival di Cannes, Oscar della migliore attrice, Premio David di Donatello, Nastro di argento, ed una NYFCC Award per la “La Ciociara”. Sarà anche ricompensata per “Ieri, oggi, domani”, “Matrimonio all'italiana”, “I Girasoli” ed “Il Viaggio”.

Nella sua qualità d'attore, non occorre omettere la prestazione fornita nel 1953 in “Pane, amore e fantasia” di Luigi Comencini al fianco di Gina Lollobrigida, e quella del 1959 nel “Il Generale oltre Rovere” di Roberto Rossellini. 

Sul piano sentimental e familiare, dopo il suo matrimonio del 1937 con Giuditta Rissone incontrata sulle tavole dieci anni prima e di cui avrà una figlia, Emi, si legherà dal 1942 con un attrice spagnola, Maria Mercader, incontrata sulle riprese di una delle sue pellicole, “Un garibaldino al convento”. Divorziato con Giuditta Rissone in Messico, si sposa in questo stesso paese con Maria Mercader: la legge italiana non riconosce questo divorzio e matrimonio. Per attenuare quest'inconveniente, si fa naturalizare francese e si sposa nuovamente con Maria Mercader a Parigi nel 1968.

Avranno insieme due figli, Manuel nel 1949, che diventerà compositore di musiche di pellicole e Christian nel 1951, che seguirà le tracce di suo padre diventando attore, regista e sceneggiatore.









Interpretazione e critiche


In questo periodo del dopo guerra, il neo-realismo diventa un’evidenza in un’Italia vinta. Ladri di biciclette è un simbolo del cinema che vuole essere prossimo della realtà. Il film è fatto in esterno, i decori sono naturali, con luce naturale e attori amatori.


Ladri di biciclette è un film consacrato alla povertà, alla disoccupazione e alla vita nei popolari quartieri. Questo film puo quasi essere visto come un documentario perché è veramente prossimo della realtà vissuta dagli italiani. Mostra una vera compassione in merito a loro che combattano per sopravivere in un modo dove tutto è a ricostruire.


Quando è uscito, il film à suscita una piccola polemica dei comunisti che criticavano il fatto che il film mostra solamente una miserabila realtà, senza trasmettere proposte. Tuttavia “Ladri di biciclette” ha conosciuto un grande successo internazionale.


La compassione è un valore importante che articola tutta la tematica del film. Si esprime quando il ladro scoperto, è visto come una vittima, ma anche quando la vittima diventa il ladro per piega. Questo momento simbolico ha un impatto psicologico, sociale, morale ma ancora spirituale.


La miseria del protagonista si reflette anche in una perdita della sua indentità e della sua stima.

Il più notevole è il modo nel quale l’intrigo iniziale, fatto di peripezie quotidiane e piccole, vienne ad avere delle conseguenze drammatiche e considerabili per il protagonista ma anche dalla visione esterna dello spettatore.


Il simbolo del bambino, innocente, insiste in questo senso sulla gravissima situazione sociale.

Considerato il paese in crisi, scompigliato dalla guerra, De Sica è riuscito a testimoniare su fatti particolari per criticare il generale. Questo metodo merita veramente di essere  sottolineato.









Temi abordati



Prima, potremmo vedere che durante tutto il film, dall’ inizio alla fine, il regista non vuole individualizzare il personaggio principale, Ricci. Veglia anche a sopprimere tutte le referenze a Roma ed agli eventi responsabili di questa situazione, la guerra in particolare. Questo modo non è scelto per caso, De Sica vuole mostrare che il problema non è una questione di tempo o ancora di paese, ma pùo estendersi.

 

C’è anche la tematica della fraternità che è sviluppata in quest’opera. Il film intero è un simbolo della fraternità, perché è dalla sua assenza che i drammi cominciano.   Ladri di biciclette riflete il bisogno d’amore degli uomini. Infatti, Ricci è solo di fronte al suo problema. I carabinieri, i sindacati o ancora la superstizione non possono aiutarlo. La comunicazion diventa impossibile. Secondo il pensiero di De Sica, la solitudine sociale è una conseguenza di una sbagliata organizzazione del mondo dalla quale  la condizione umana dipende.


Finora, abbiamo visto le critiche negative ma ci sono delle tematiche positive che esistono in questo film.
Le valore positive sono l’amore nella coppia, la tenerezza necessaria tra il padre e il suo ragazzo.


Il film ha una fine drammatica, che dona l’occasione al pubblico di avere una vera riflessione sulla crisi mostrata. De Sica ha scelto di non proporre una soluzione, la conseguenza è un impatto ancora più presente.









Ecco i commenti personali




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